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Tendine d’Achille, quando riprendere con lo sport?

Recentemente, ho operato due rotture del tendine d’Achille e la domanda più frequente che mi è stata rivolta, è stata: quando posso riprendere ad allenarmi?
Iniziamo col dire che, la rottura del tendine di Achille -parziale o completa-, è infatti un incidente in cui molti sportivi hanno avuto la sfortuna di incorrere.
Il tendine di Achille è il tendine più grosso e robusto del corpo umano.
È situato tra polpaccio e caviglia e lega i muscoli del polpaccio (il tricipite) al piede, inserendosi sul calcagno.
E’ indispensabile per lo svolgimento del passo, quindi della deambulazione, della corsa e del salto. Ecco perché le conseguenze di una lesione del tendine d’Achille sono particolarmente invalidati, non solo per la vita sportiva.
Le cause della rottura del tendine d’Achille sono i traumi, anche piccoli traumi, come una distorsione della caviglia.
A parte un trauma diretto e violento sul tendine, per tutti gli altri eventi, alla base c’è una sofferenza cronica del tendine, per una serie di fattori generali. L’età avanzata,per l’invecchiamento delle fibre elastiche, problemi metabolici – come il diabete, l’aumento di peso, il colesterolo alto –, portano ad un indebolimento progressivo che può degenerare fino alla rottura.

I sintomi sono chiari: i pazienti avvertono “un colpo alla caviglia”, uno schiocco e di aver avvertito un dolore acuto nella zona del tendine e del polpaccio. Hanno difficoltà nel camminare, riportano la comparsa di ematoma o gonfiore della caviglia. Al tatto avvertono un affossamento sul retro della caviglia.

Il problema è che i sintomi possono essere presi sottogamba, perché tendono a diminuire con il passare delle ore, dolore compreso. Questo spesso porta a sottovalutare il trauma e a non rivolgersi subito al proprio medico o al pronto soccorso, col rischio (se non la certezza) di peggiorare la situazione.
La visita clinica, associata ad esami strumentali quali l’ecografia e la risonanza magnetica, non lasciano dubbi.

Certo, prima della rottura ci sono dei sintomi che possono far sospettare una sofferenza del tendine e, curandoli, prevenire la degenerazione, sono le cosiddette tendiniti che si evidenziano con un dolore lungo il tendine e al muscolo del polpaccio, rigidità mattutina, gonfiore locale, presenza di speroni ossei e ispessimento del tendine.

All’origine di queste tendiniti ci possono essere diverse cause, come già detto, ma soprattutto un’ infiammazione cronica per un sovraccarico funzionale, dovuto ad una postura non corretta. Pertanto, la prevenzione sarà la cura della postura con ortesi o plantari, ginnastica specifica posturale, pilates, ecc.
Quando, invece, la rottura è conclamata, esiste la possibilità di un trattamento conservativo, che può prevedere l’immobilizzazione, oppure quella di intervenire chirurgicamente. Dipende da diversi fattori, come l’età e le necessità del paziente e, naturalmente, la gravità della lesione.
Il mio consiglio, in caso di rottura del tendine di Achille, è quello di ricorrere a un intervento chirurgico di riparazione, tramite il quale si cerca di ripristinare la lunghezza e la funzionalità del tendine. Ci sono diverse tecniche, a seconda della lesione, dello stato del tendine e del paziente.

Nelle lesioni gravi degenerative del tendine, in un paziente sportivo, l’intervento si esegue a cielo aperto, con una sutura dei capi tendinei ed un rinforzo con l’aponevrosi del muscolo tricipite o col vicino tendine del plantar gracile. Segue un’immobilizzazione con gesso col piede in leggero equinismo, per detendere la sutura, oppure un tutore di immobilizzazione, chiamato walker, per circa 30 giorni, a cui segue un periodo di riabilitazione graduale, con lo scopo di ripristinare la funzione del tendine, con un certo grado di elasticità.
In linea generale, il tempo di recupero totale – per questo tipo di riparazione – è di circa tre mesi dall’intervento. Il ritorno allo sport, dipende da molti fattori individuali e di cicatrizzazione, in genere dopo un consulto tra specialista chirurgo ed allenatore.

Le tecniche mini-invasive, le cosiddette suture percutanee, vengono riservate alle lesioni più nette e meno degenerate, in pazienti senza una richiesta funzionale importante. Richiedono un tutore di protezione per un tempo maggiore, per evitare le recidive.
In ogni caso, l’obiettivo dell’intervento è quello di ristabilire la piena funzionalità della caviglia, senza la quale è difficile camminare bene.